Affitti brevi e crisi degli affitti a lungo termine

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Negli ultimi anni si è diffusa un’idea quasi unanime: l’esplosione degli affitti brevi, grazie a piattaforme come Airbnb o Booking, sarebbe la principale responsabile dell’aumento dei canoni e della scarsità di alloggi sul mercato tradizionale. Una narrazione comoda, perché individua un colpevole preciso e facilmente “regolabile” con tasse o limiti.
Ma se si guarda davvero ai dati e alla realtà giuridica italiana, il quadro cambia: gli affitti brevi non sono la causa, bensì l’effetto di un mercato immobiliare a lungo termine bloccato da una normativa sbilanciata e penalizzante per i proprietari.

Molti proprietari, infatti, non scelgono l’affitto breve per arricchirsi, ma per difendersi da rischi concreti come morosità, lunghi tempi di sfratto, spese legali e fiscali che non si fermano nemmeno quando l’inquilino smette di pagare.


Perché tanti preferiscono l’affitto breve

Basta parlare con chi possiede una seconda casa per rendersene conto. Parecchie persone raccontano di aver abbandonato l’affitto tradizionale dopo esperienze non piacevoli o per semplice timore di finire impantanati in anni di contenzioso.
Non è quindi una scelta di avidità, ma di autotutela.

L’affitto breve, al contrario, offre:

  • pagamenti anticipati;
  • nessuna morosità prolungata;
  • possibilità di riavere velocemente l’immobile;
  • maggiore flessibilità nella gestione e nella fiscalità.

Nota: nei casi in cui l’attività è registrata come struttura ricettiva (B&B, casa vacanza, affittacamere ecc.), il rapporto con l’ospite non è una locazione abitativa, ma una prestazione di servizi.
Ciò significa che l’ospite è un cliente, non un inquilino, e in caso di controversia il proprietario può tornare in possesso dell’immobile in tempi ragionevoli. Una differenza sostanziale 😉


L’affitto lungo: un percorso a ostacoli

Chi affitta per anni, invece, sa quanto possa diventare complicato.
Se l’inquilino smette di pagare, ottenere uno sfratto in Italia è un percorso lento e costoso. Nel frattempo, il proprietario:

  • non riceve più il canone;
  • continua a pagare IMU, tasse e condominio;
  • e rischia pure danni all’immobile.

La legge, per tutelare chi è in difficoltà economica, prevede giustamente garanzie e tempi dilatati. Ma nella pratica l’intero peso di questa tutela ricade quasi sempre sul proprietario, che si trova a sostenere costi senza alcuna protezione.
Secondo dati del Ministero dell’Interno, nel 2024 solo un quarto degli sfratti emessi è stato effettivamente eseguito: il resto è rimasto sospeso per “condizioni speciali” dell’inquilino.


L’effetto domino

È inevitabile: se affittare a lungo termine significa rischiare anni di perdite e problemi, chi possiede un immobile cerca alternative più sicure.
Per molti, l’affitto breve rappresenta una difesa, non una speculazione.

La domanda da porsi non è “Come possiamo limitarli?”, ma “Perché così tanti proprietari non vogliono più affittare a lungo termine?”.
La risposta è semplice: in Italia il proprietario non ha tutele efficaci.

Finché la normativa renderà impossibile uno sfratto rapido, scaricherà sui privati il costo dell’emergenza abitativa e proteggerà l’inquilino a prescindere dal suo comportamento, i proprietari si muoveranno razionalmente verso soluzioni più sicure.


Serve un equilibrio, non una caccia alle streghe

Gli affitti brevi non sono il problema: sono il sintomo di un sistema che ha reso l’affitto tradizionale un rischio eccessivo.
Se lo Stato vuole riportare gli immobili sul mercato residenziale, non deve punire chi affitta per pochi giorni, ma creare regole chiare, tempi certi e garanzie per entrambe le parti.
Solo così potremo parlare di un mercato sano e sostenibile.

Scaricare su una categoria privata il peso di un problema sociale non è la soluzione.
Serve invece una politica che distribuisca equamente gli oneri, favorisca il rientro degli immobili nel circuito abitativo e ricostruisca la fiducia tra proprietari e inquilini.

Una tutela equilibrata può e deve proteggere chi è in difficoltà senza trasformare i proprietari in ammortizzatori sociali di fatto. Sicurezza abitativa e diritto di proprietà non sono nemici: possono coesistere se la legge è giusta e funziona.


Lo spopolamento dei centri storici: un problema complesso

Infine, ridurre lo spopolamento dei centri storici ai soli affitti brevi è un errore. Le cause sono molteplici: l’invecchiamento della popolazione, l’assenza di ricambio generazionale, la mancanza di servizi efficienti e la difficoltà di vivere quotidianamente in contesti urbanistici spesso scomodi.

Trasporti pubblici scarsi, parcheggi introvabili, barriere architettoniche, costi di manutenzione elevati: tutto contribuisce a rendere meno attrattiva la vita nei borghi antichi.
A questo si sommano vincoli edilizi rigidi e la lenta scomparsa delle botteghe schiacciate dal commercio online e dalle nuove abitudini di consumo.


In sintesi, lo spopolamento dei centri storici è il risultato di un insieme di fattori economici, sociali e culturali, e non di un’unica causa.
Attribuirlo solo agli affitti brevi è una semplificazione che rischia di farci perdere di vista la complessità del problema e la necessità di politiche più intelligenti e coordinate.

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